Giovedì 11 giugno sera, intorno alle 22, un controllore su un passante
ferroviario nell'area del milanese chiede ad alcuni passeggeri di esibire il
biglietto. Tra questi vi è un gruppo di tre sudamericani, di cui due senza
biglietto. Conosciamo bene il violento esito della vicenda, a cui è stata data
ampia copertura mediatica: uno dei
ragazzi – tra i 19 e i venti anni – colpisce il controllore al braccio con un
machete, quasi amputandoglielo. Si scopre poco dopo che i tre sono membri della
gang Mara 13, o Mara Salvatrucha.
Fatti come questo suscitano paura e sgomento, insieme ad una serie di
domande più profonde sull'origine del fenomeno della criminalità giovanile,
sulla ragione di questa sproporzionata violenza e sulle possibili soluzioni.
Nel tentativo di dare e darci alcune risposte, siamo andati ad indagare su
cosa la ricerca accademica abbia da offrire sul tema delle baby gangs (o
youth gangs) ed abbiamo trovato una realtà assai più complessa e variegata
di quella che i sensazionalistici mezzi di informazione tendono a presentare.
Certo, trattandosi in questo caso di maggiorenni, seppur di poco, sembrerebbe
fuori luogo, ma la definizione di baby gang copre in realtà gruppi
criminali i cui appartenenti hanno un'età compresa tra i dodici e i
ventiquattro anni. Ci siamo prevalentemente avvalsi di uno studio empirico di Uberto Gatti (in collaborazione con altri accademici italiani) su
una gang giovanile genovese attiva nel quartiere Sperone e di una tesi
del corso di alta specializzazione in materia di criminologia applicata,
patrocinato dalla Regione Piemonte. Stando
alla situazione sul territorio italiano, il primo elemento che colpisce in
queste analisi sta nella fondamentale differenza tra le gang i cui
membri sono di origine italiana e quelle di altre etnie, fondata su differenti
retroterra culturali. Essenzialmente, la violenza, anche quella più bruta, ha
un ruolo molto più centrale nelle gang di
importazione come Mara 13, saldamente legate al mondo del crimine
internazionale.
Quale può essere allora la risposta delle istituzioni davanti a fenomeni di
tale portata e complessità, che minano alla nostra sicurezza e rischiano di
coinvolgere i nostri stessi figli? Dobbiamo infatti notare che l'etnia dei
membri di queste gangs è sempre meno una discriminante. Certamente la
ricerca di una soluzione non è aiutata dall'assenza di un ampio e sistematico
studio delle bande giovanili in Italia, come sottolinea Gatti. Ciò che di
positivo emerge è la presenza fondamentale di educatori di strada, che
entrano in un rapporto di fiducia con i ragazzi (si veda il pluripremiato
documentario The Interrupters, di S. James e A. Kotlowitz) e organizzano
attività ricreative e formative. Per quanto necessario e positivo, tale
strumento non risulta sufficiente a contrastare il fenomeno e mira piuttosto ad
aprire la mente dei ragazzi a futuri alternativi a quelli della vita criminale.
In particolare, gli sforzi mirati all'inserimento dei membri delle bande nel
mondo del lavoro vengono minati dalla discontinuità nella partecipazione,
interrotta appunto da attività illecite, dalle quali gli educatori vengono
“protetti”, tenuti all'oscuro, in quanto persone a cui i membri si affezionano.
Se da una parte le istituzioni dovrebbero ripensare il territorio urbano
per evitare quelle concentrazioni geografiche di povertà e disagio in cui
queste bande nascono, dall’altra il mondo delle associazioni può essere di
supporto anche attraverso i programmi di prevenzione della dispersione
scolastica e di tutte quelle forme di disagio di cui questi ragazzi sono sempre
protagonisti.
Parliamo delle iniziative formative, campagne di sensibilizzazione,
progetti di recupero e reinserimento sociale, attività di volontariato e
laboratori artistici finalizzati al potenziamento dei talenti dei singoli, a
scuola, nei centri di aggregazione giovanile e nelle strade. Per questo la
scuola può allora contare su “La Terza Italia”, come ci ricorda la recente
pubblicazione del Garante dell’Infanzia. Quella Italia che spesso lavora gratuitamente
in modo sommerso, senza risvolti mediatici ed in grado di salvare i giovani ai
margini e non respingerli poiché incompatibili con una certa idea di studente.
#chiediloanoi
Fabio I. Martinenghi
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