martedì 15 settembre 2015

Scontro sulla riforma "Buona Scuola"


Le scuole hanno ormai riaperto le porte in alcune città d'Italia e, come si temeva, lo scontro sulla riforma “Buona Scuola” è già iniziato. Se da una parte è troppo presto per verificare quanto le preoccupazioni relative all'autonomia dei presidi e al ruolo del misterioso organico di potenziamento siano fondate, dall'altra è cominciata la contestazione sul processo di assunzione.
Il luogo della disputa è l'effetto esodo che l'ondata di assunzioni ha suscitato. Ciascun professore ha indicato per via telematica 100 preferenze relative alle città di impiego, in ordine gerarchico e ha successivamente ricevuto – in caso di successo – una proposta di assunzione in una determinata città tra quelle elencate, con un periodo di 10 giorni in cui valutare se accettare l'offerta di lavoro con contratto a tempo indeterminato oppure no. In caso di rifiuto dell'offerta si viene depennati da ogni graduatoria. Su 38000 aventi ricevuto la proposta di lavoro, 7000 (18% circa) accettando sarebbero costretti a trasferirsi lontano da casa. Intuitivamente, non appare strano che una parte degli assunti si debba trasferire, dal momento che domanda e offerte, a livello locale, non sono identiche. Al contrario, come ha ricordato il Ministro Giannini, al Nord c'è più domanda che al Sud, e spesso chi ha le competenze richieste viene proprio dal Meridione; da qui l'inevitabile esodo.
Tuttavia, appena si leggono le singole storie di chi si è ritrovato davanti a un assurdo ultimatum dopo anni di precariato, ci si rende conto che qualcosa non ha funzionato. Cosa abbia o non abbia funzionato, non può che rimanere solo un sospetto, non avendo il Miur reso pubblico l'algoritmo che avrebbe stabilito chi assumere e dove. In una recente intervista, un dirigente del Miur ha spiegato al Corriere della Sera: «Il sistema ha assegnato i posti disponibili secondo i criteri indicati dalla legge 107: ordine di preferenza espresso dai docenti, sia rispetto alle abilitazioni possedute (sostegno o materie cosiddette comuni), sia rispetto alle graduatorie in cui è presente (concorso o GAE)». Ciò che sicuramente non è stata considerata è l'età dei docenti: emergono infatti dalle interviste condotte dalle principali testate nazionali tante storie di insegnanti che sono ormai operativi da decenni – sebbene come precari – in una determinata area e si ritrovano, pur essendoci localmente domanda delle loro competenze, come il loro impiego dimostra, ad essere catapultati dall'altra parte d'Italia, a 40 o 50 anni e con figli a carico. Non si parla poi di una professione tra le meglio retribuite, per cui spesso è impensabile trasferirsi e pagarsi un altro affitto più le spese per tornare a casa ogni fine settimana. Insomma, il problema esiste ed è stato legittimamente sollevato.

Intanto rimane la preoccupazione su quale effetto questi scontri e ricorsi avranno sulla famosa continuità educativa, un punto che dovrebbe rimanere al centro delle preoccupazioni di tutte le parti coinvolte.

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