Secondo uno studio commissionato
da WeWorld a cui hanno preso parte le associazioni Giovanni Agnelli e Bruno
Trentin,
la situazione italiana riguardo all'abbandono scolastico non sarebbe delle più
rosee. L'Unione Europea stima infatti che gli early school leavers in
Italia costituiscano il 17% della loro popolazione. I parole povere, il 17%
circa dei ragazzi italiani tra i 18 e i 24 anni
abbandona la scuola avendo conseguito al massimo la licenza media.
Early School Leaving in percentuali (2013). Fonte: Eurostat |
Il
dato è significativo per varie ragioni. Innanzitutto, perché ci colloca in
fondo alla classifica europea, e questo implica che si può (e si deve) fare
meglio. In secondo luogo, perché la
Commissione Europea stima che “Da qui al 2020 saranno creati 16 milioni di posti altamente
qualificati, mentre i posti scarsamente qualificati scenderanno di 12 milioni”,
complicando ulteriormente la situazione dei lavoratori non specializzati.
Inoltre, tale dato rende irrealistico per noi il raggiungimento dell'obbiettivo europeo sull’abbandono
scolastico fissato al 10% entro il 2020, che si trasforma in più verosimile
15-16%. In terzo luogo, non solo queste percentuali sono segno di ferite aperte
nel tessuto sociale, ma – come ogni piaga sociale – hanno anche ripercussioni
economiche, tanto che azzerare la dispersione scolastica potrebbe avere un
impatto sul PIL tra lo 1,4% e il 6,8%.
Non bisogna comunque dimenticare,
sottolinea lo studio, che la situazione è migliorata rispetto al 25,3% di early
school leavers del 2000 (dati UE), anche se meno rispetto che in altri
stati membri.
Tuttavia, questo 17% stimato dalla
Commissione Europea, sostiene il Prof. Daniele Checchi – tra gli accademici
coinvolti – sarebbe inferiore di almeno 10 punti percentuali rispetto
all'effettivo abbandono precoce (30% circa), misurabile attraverso le
iscrizioni scolastiche.
L'obiettivo dello studio in
questione, “LOST. DISPERSIONE SCOLASTICA, il costo per la collettività e il
ruolo di scuole e Terzo settore”, è quello di definire meglio il problema sul
territorio italiano, in particolare nelle aree urbane metropolitane di Milano,
Roma, Napoli e Palermo dove è stata analizzata una significativa porzione delle
attività di contrasto alla dispersione scolastica di scuole ed enti no profit,
anche tramite il metodo dell'intervista approfondita.
Come emerge dalle interviste,
essendo le cause di questo fenomeno molteplici (da disabilità a problemi
familiari), la soluzione non può essere semplicemente univoca. Servono allora
soluzioni per ciascuno di queste cause: supporto alla disabilità, programmi di
studio personalizzabili, contrasto della disaffezione allo studio,...
Anche la tempistica di intervento
con tali soluzioni appare essere importante, risultando molto più efficace durante
scuola secondaria di primo grado (o scuola media) rispetto che durante la
secondaria di secondo grado (liceo e analoghi), dove ci “si limita quindi a
un’azione di sostegno dei sopravviventi a scuola e di recupero (outreach) e
risocializzazione di coloro che hanno già abbandonato la scuola”.
Allo stato attuale, concludono i
ricercatori, tali soluzioni sono portate in modo dispersivo da un'azione
scoordinata di scuole e associazioni, così da non agire – nella maggioranza dei
casi – né in modo complementare né in modo sostitutivo, cioè né colmando
reciprocamente le proprie lacune, né mettendosi in competizione le une con le
altre.
Una maggiore sistematicità
nell'intervento potrebbe così rendere ancora più efficace l'intervento degli
enti coinvolti, che – stima lo studio –
“producono” 1,6 € per ogni euro investito, un effetto moltiplicativo del 60%,
che deriva soprattutto dal lavoro volontario.
In tale ideale sinergia operativa,
da una parte le istituzioni dovrebbero allocare le risorse in maniera
disomogenea sul territorio, rispondendo ai diversi gradi di necessità delle
varie aree, dall'altra, complementariamente, il Terzo settore – conveniamo con
lo studio – potrebbe mettere a frutto la conoscenza delle specifiche
problematiche locali per intervenire efficacemente a livello micro.
Noi del Terzo settore non dobbiamo stancarci di bussare alle porte delle istituzioni affinché raccolgano il nostro appello, a favore
di una maggior complementarietà, e senza stancarci di portare avanti le
nostre attività di contrasto al disagio giovanile.
Fabio I. Martinenghi
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